Il diario di cose banali

venerdì 27 febbraio 2009

rumori




Ci sono dei rumori in casa che amo.
E adesso c’è n’è proprio uno qui, accanto a me.
Il rumore di qualcosa che bolle. Lentamente.
La cosa in questione che bolle è un merluzzo. Il rumore della pentola che bolle, con dentro il merluzzo, mi ricorda il mattino di un giorno nebbioso.
Un rumore bianco, che dà un po’ sonnolenza, che rende tutto un pò piatto; quando c’è lui sembra che nulla di particolare possa accadere.
E’ un po’ basso, compresso, continuo, si espande in un volume preciso, rigira su sé stesso.
E' un pò come il rumore di un treno, di uno di quelli lentissimi, che ci mette tanti giorni ad arrivare e solo dopo tanti chilometri scoloriti ti permette di vedere case, persone, forme abitate.
E nel frattempo ti puoi perdere in un morbido niente.
Ti permette di dormire di mangiare, di leggere un libro senza darti nessun fastidio.
Puoi stare seduto e non sentire che stai perdendo tempo.
Anzi sei proprio lì, fermo, e non c’è niente di male.
Insomma è un po’ il rumore del viaggio in Transiberiana, almeno come me la immagino.
La fine di quel viaggio però ha un sapore diverso.
Quando scendi dal treno quel rumore lì ti si è messo sottopelle.
Tu ti eri affezionato a lui, faceva da paesaggio, da sottofondo, ti faceva sentire parte del viaggio, parte del suo fluido.
Era come se qualcuno avesse girato una grossa clessidra e tu ci fossi dentro e proprio in quel momento il tempo avesse iniziato a scorrere visibilmente fino fartene sentire inconsapevolmente parte.
Perché, anche se prima il tempo scorreva lo stesso, tu non ne eri parte, era come averlo di fronte il tempo.
Lo vedevi, sapevi che esisteva, ma come se chiuso in una teca di vetro, rigido, egoista, con un suo percorso sottovalutato.
Scendi dal treno e ti risvegli,
torni lì, dove il tempo è fatto di rumori appuntiti e a puntini, disinvolti, sciolti, slegati, pieni di scatti, senza vapori, a strappi, non più nè pieni né tondi,
dimentichi in meno di un secondo quel senso vissuto del fluire insieme al tempo;
però qualche volta, se ti siedi e stai fermo mentre la pentola bolle, forse puoi riviverla.





venerdì 13 febbraio 2009


Pensavo a cose da registrare, cose che mi passano per la testa come un rumore di sottofondo e che poi dimentico. Parole che sono immagini o immagini che diventano parole. Ai momenti che sembrano non avere nessuna forma.
Alle cose che non trovo più, alle cose che ritrovo. A piccole cose a cui ho pensato spesso e che poi impietosamente cancello. O ancora a tante altre cose che trovo per caso e che vedo banali. Ma poi a volte se le osservo bene prendono a brillare di nuova vita.


Mi piace scrivere, peccato che sono pigra e mi fa fatica far scivolare la penna sul foglio e anche ora battere le dita sulla tastiera.
Certo, la macchina da scrivere era un'altra cosa, mi piaceva, ma adesso è caduta in disuso.
Anzi veramente una ce l'ho, di macchina da scrivere, ed è ancora quella, quella dove ho scritto la prima parola della mia vita.
Però tornando a noi, alla penna, c'è qualche volta che è davvero bello scrivere.
Quelle volte si che me la godo.

Quando la carta è proprio perfetta: non troppo sottile, nè troppo doppia, un pò trasparente, ma non troppo, un pò scivolosa ma quel tanto che basta per non essere patinata, lucida, liscia, fredda.
Perchè no, io quella proprio la odio, la carta patinata; per esempio su un'agenda, è proprio un delitto, non capisco come si possa concepire.
In quel caso se hai una penna, comunque sia, va male.
Se è una bic fa attrito, e scrivere diventa una vera fatica, come zappare la terra.
Se è una penna un pò a pennerello, tipo una stedler o come si chiama, addirittura il contatto della punta con la carta crea un solco, cosa veramente deprimente.
Poi addirittura dopo un pò la penna inizia a non scrivere più. Tu vuoi scrivere le parole e invece ti rimane il solco,
vedi l'ultima goccia di inchiostro che scivola miseramente, che fa un puntino, l'ultimo puntino, dopo di chè: il nulla,una stridente striscia bianca prende il posto di quella linea blu, che era profonda, sincera, evidente.
E poi ti chiedi: "e se quella fosse la frase più importante della mia vita?se la ritrovo dopo dieci anni e voglio capire cosa ho scritto?".
Perchè si, io me le conservo tutte, anzi quasi tutte, e le ho rilette dopo anni, anzi a dir la verità, ed è la prima volta che lo dico, anche a me stessa: io le avevo scritte apposta.
Volevo una memoria di me, non volevo perdere nulla, perchè ho sempre pensato che è un peccato non essere conosciuti.
Pensavo a quei signori con i baffi dell'800 che avevano scritto tante lettere e nessuno le aveva mai lette.
O peggio a quelli che di lettere non ne avevano mai scritte, e se un giorno fossero scomparsi di loro nulla, nessuno avrebbe mai saputo niente di loro, della loro testa, di quello che ci passa per la testa.
Certo quello che si scrive può sempre scomparire, ma almeno per un pò rimane, e certo la speranza che un giorno quelle parole vivano, quella c'è.
Beh io per il momento sono ancora viva, e molto contenta di esserlo e sto scrivendo e provo un gran piacere.
In realtà se non fosse per quella pigrizia ne avrei già scritto un fiume di parole.
Forse nessuno le avrebbe lette o io non le avrei fatte leggere, ma dentro di me avrei avuto la vanità che un giorno quelle parole sarebbero state, avrebbero vissuto, sarebbere esistite per un attimo nella mente di qualcuno.
E quel qualcuno avrebbe digerito quella parola o quella frase, o forse sarebbe saltato a quella dopo. E quella di prima non l'avrebbe mai letta.
Ok, va bene, sarebbe stata una delusione per quella frase, quella a cui magari avevo pensato per 10 minuti e l'avevo poi riletta pensando che era bella.
Ma tutto sommato andava bene, certo il suo occhio, quell'occhio di lui o di lei sconosciuto avrebbe letto, avrebbe almeno visto un gruppo di lettere, avrebbe letto almeno le prime tre parole... e poi l'avrebbe saltate, insomma in qualche modo anche quelle parole sarebbero esistite.
Ancora non riesco a pensare adesso al fatto che le mie parole esistano qui.
Quello è troppo complesso, lo vedrò tra un pò.
Magari dimenticherò io stessa questa pagina ma adesso penso di no.

Mi sono appena trasferita, la pagina di prima non mi piaceva.
Cambiare pagina è un pò come cambiare stanza.
Cambiano le pareti, il paesaggio, la luce.
E qui, già mi sento diversa.

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